Qualcuno rimane sorpreso di come, con modalità che sembrano coordinate, quasi dalla sera alla mattina i governi occidentali hanno iniziato a criticare duramente Israele fino ad annunciare il prossimo riconoscimento dello stato palestinese alla prossima assemblea plenaria dell’ONU prevista a Settembre. Questo avviene dopo due anni in cui le immagini più terribili e le violazioni più grottesche di qualsiasi legge internazionale (e morale) avevano riempito i canali non ufficiali di notizie – i cosiddetti mainstream – ed erano state consistentemente ignorate da tutti, compresi quelli che oggi sembrano essersi svegliati dal sonno.
Guerra della propaganda persa
Della battaglia mediatica persa, in modo clamoroso e per certi versi drammatico, si è detto tante volte. Israele, esigendo l’obbedienza di praticamente tutti i media e sfruttando quello che da tempo è stato chiamato il “metodo covid”, era convinta – o almeno sperava fortemente – di vincerla facilmente. Ovviamente, lo pensava solo perché questa gente è disconnessa dalla realtà e non aveva osservato attentamente quello che era successo con il covid prima e con la guerra in Ucraina dopo. Ne ha parlato di recente Netanyahu, oggi in grande difficoltà, asserendo che la guerra della propaganda è stata persa “per colpa dei bot e degli algoritmi”. Letteralmente, come si vede nel video di seguito:
“Ascolta, no, io penso che non stiamo vincendo la guerra della propaganda, ad essere gentili. Ci sono grandi forze che stanno combattendo contro di noi. Ci sono gli algoritmi dei social network che stanno spingendo nell’altra direzione. Le persone che davvero conoscono questo processo, tra le più importanti al mondo, mi dicono che il 60% delle reazioni sui social network sono dovute a bot. Lo possono affermare con certezza assoluta.”
Tra lasciando la disconnessione dalla realtà che mostra Netanyahu con queste affermazioni, che non sono frutto di ignoranza ma propaganda esse stesse, quello che ci mostra questa dichiarazione è come sia nata una nuova forza che le elite non riescono a controllare. Se ne parla da tanto. Queste dichiarazioni non servono ad altro che a tenere il gioco a chi, come la UE, invoca ormai la censura e la sorveglianza di massa per tutte le reti sociali. Netanyahu e la sua strategia non stanno fallendo solo per il supporto popolare alla causa palestinese ma principalmente perché erano strategie di un mentecatto, però il supporto popolare creato al di fuori delle reti mainstream sta amplificando e rendendo insostenibile qualsiasi errore.
Tutte le élite politiche ed economiche oggi temono sconvolgimenti politici a brevissimo termine ed è per questo che vorrebbero controllare le comunicazioni personali delle persone come tutti quei dittatori che ormai vedono fantasmi ovunque.
Paesi occidentali e USA
L’affannarsi anche quasi scomposto con cui molti governi occidentali stanno correndo a dichiarare che si apprestano a riconoscere lo stato palestinese – con le notevoli eccezioni di quello statunitense e del suo cagnolino da cortile che è lo stato italiano – può sembrare un cambio di rotta di questi governi e soprattutto dei politici nazionali ma va analizzato in un contesto più ampio.
Tralasciando l’Italia che non ha alcuna volontà propria, va innanzitutto capito perché gli USA non possono più spingere in questo senso e continuano a smarcarsi. La strategia di Trump, quella di posizionarsi come presidente contrario alla guerra e cercare accordi commerciali, è miseramente fallita. Lo si può vedere chiaramente dalle giravolte di Trump stesso. Semplicemente, era troppo tardi mentre le élite economiche statunitensi pensavano che, abbandonando la linea Biden (e si è gentili a pensare che fosse la linea di Biden…) dello scontro frontale per ristabilire il predominio economico degli USA, avrebbero potuto ancora negoziare accordi che consentissero agli USA di mantenere il loro dominio economico sul mondo. Era semplicemente troppo tardi, quel treno aveva lasciato la stazione molto tempo prima e gli Stati Uniti si sono accorti che semplicemente non hanno più alcuna carta negoziale, inclusa quella militare la cui immagine è stata devastata da 3 anni di fallimenti in Ucraina.
L’intera guerra in Palestina, condotta con la ferocia che conosciamo, aveva un solo obbiettivo: difendere la posizione di eccezionalità della NATO e, in questa, la leadership degli Stati Uniti. Il messaggio era chiaro: forse gli USA non sono più in grado di attaccare la Russia né tanto meno la Cina e nemmeno l’Iran, ma possono ancora attaccare a piacimento un altro stato più piccolo, combattere una guerra contraria a qualsiasi legge internazionale, violare tutte le regole che impongono agli stati e nemmeno Russia, Cina o altri possono fermarli. Il genocidio palestinese ha questo messaggio verso tutti gli altri.
Anche se Trump voleva effettivamente chiudere le guerre quando ha assunto la presidenza, onorando il mandato chiarissimo che arrivava dai suoi elettori il fallimento completo della strategia economica, e cioè sostituire le guerre con accordi commerciali che sublimassero il primato USA, lo ha portato a dover fare scelte completamente diverse. Per quello che riguarda questo post, questo ha incluso lasciare la mano più libera possibile a Netanyahu che si era infilato in cul de sac con le sue stesse mani, trasformando un conflitto militare in una guerra esistenziale. Se poi Israele abbia anche informazioni compromettenti su Trump resta da vedere ed è assolutamente possibile ma questo non ha fatto che rafforzare una posizione che era già necessaria.
Da peso quando era convinto di poter fare accordi con gli altri paesi dell’area, Israele è tornata ad essere quindi strategica quando questi accordi non si sono materializzati o non sono arrivati nella forma che serviva agli Stati Uniti per sostituire la sua forza militare con quella economica degli accordi. Non a caso Trump ha già dovuto confermare che gli Stati Uniti hanno dovuto “salvare Israele” nella “Guerra dei 12 giorni” con l’Iran, negoziando un accordo per il cessate il fuoco prima che fosse troppo tardi.
Salvare lo stato israeliano
Se escludiamo gli Stati Uniti, che hanno motivazioni più ampie, non si capisce cosa sia cambiato oggi per i governi occidentali rispetto agli ultimi mesi, tanto da convincerli a prendere una posizione specifica a favore dello stato palestinese. Israele ha massacrato bambini, donne, giornalisti, ha attaccato ospedali, scuole, sedi ONU e usato la fame per costringere i palestinesi alla resa ma non lo fa da qualche settimana ma da due anni. Il motivo per cui i governi occidentali hanno preso oggi una posizione è molto semplice: Israele ha perso la guerra. L’ha persa in modo così disastroso da non essere più salvabile e la sua sconfitta, come sempre succede, potrebbe scatenare reazioni ben più serie in Occidente perché – come sempre – la vittoria copre le atrocità mentre la sconfitta porta al redde rationem.
Ci sono innanzitutto aspetti legali che preoccupano i politici occidentali: il supporto dato ad Israele, specie dopo la pronuncia della Corte Penale Internazionale che ha confermato che in Palestina fosse in atto un genocidio, configura per tutti i politici ed gli ufficiali in carica come minimo il reato di favoreggiamento se non di partecipazione diretta al genocidio. Se Israele avesse vinto la guerra la cosa sarebbe potuta passare sotto silenzio considerato che le Magistrature in Occidente hanno dimostrato (vedi covid) di potersi allineare facilmente con il potere politico ma la sconfitta di Israele apre una porta ad una possibile futura accusa a livello penale, considerato che questi reati non vanno in prescrizione. Un eventuale cambiamento di vento politico, che ci sarà inevitabilmente, potrebbe portare le forze politiche subentrate ad usare questo argomento come terreno di scontro politico e in questo senso la Magistratura dei vari paesi, oggi addormentata, potrebbe decidere di riaprire questi fascicoli in futuro. Con una eventuale accusa di collaborazione ad un genocidio non si scherza.
La seconda ragione per cui i governi stanno correndo ai ripari si collega alla precedente: la lotta di palestinesi è orma diventata globale e a livello mediatico e politico stare con Israele è una posizione perdente. Israele è ormai kryptonite per tutti, incluso il Presidente degli Stati Uniti: figurarsi per gli altri, di molto meno forti. Sostenere Israele accelererà proprio quel meccanismo di ricambio politico di cui si è parlato in precedenza e potrebbe portare (e porterà sicuramente) a sconvolgimenti a livello politico. Un ricambio accelerato che porti al potere forze emergenti a causa proprio della debacle causata dal covid, dalla guerra in Ucraina e poi da quella in Palestina è oggi il fenomeno contro cui le élite occidentali stanno cercando di combattere, soprattutto dopo la vittoria – inaspettata più della prima – di Trump negli USA. In quel caso è stato eletto Trump ma è facile che, a furia di provare outsider, ne venga fuori uno di valore.
Il motivo principale, però, è resta uno solo: a questo punto non sono i palestinesi a dover essere salvati ma è precisamente lo Stato di Israele. L’ultima disperato tentativo di poter presentare una qualche vittoria alla pubblica opinione israeliana e non, l’invasione in massa di Gaza, è ovviamente una mossa disperata, non un segno di forza. Il supporto senza limiti fornito ad Israele ha ovviamente reso impossibile qualsiasi soluzione dei due stati, ammesso che sia stata mai praticabile. Impossibile perché Israele, dopo un genocidio, non potrebbe mai accettare uno stato palestinese indipendente che il giorno dopo si riempirebbe di armi per la Resistenza a causa di quanto fatto da Tel Aviv. Impossibile perché i palestinesi, e tutte le masse arabe, sanno ora che cosa verrebbe consentito ad Israele ed è impossibile qualsiasi accordo territoriale nel quale i due stati abbiano parti di territorio da condividere ed addirittura che si attraverserebbero l’un l’altra.
Infine impossibile perché la sopravvivenza dello stato israeliano, per tutti ormai, significherebbe la sopravvivenza di uno stato genocida che ha perso qualsiasi legittimità, uno stato che ha usato modus operandi che non si vedevano dalla Germania del III Reich e che, con tutta evidenza, ha maturato dentro di sé una popolazione che ne condivide i metodi e gli obbiettivi dato che nessuna vera opposizione interna è mai nata, nemmeno adesso. Anzi, la maggioranza degli israeliani è accreditata della condivisione di tutti o parte degli obbiettivi del suo governo e – come confermava la stampa locale – il 69% della popolazione israeliana non si dice “turbata” dalla carestia che il proprio governo impone ai palestinesi:

Tutto questo rende ormai impossibile qualsiasi soluzione dei due stati che non può essere moralmente accettata accanto ad un paese che ha appena sterminato i suoi nemici, che è impossibile da implementare praticamente e che si scontrerebbe con un rifiuto completo della popolazione mondiale verso lo stato di Israele che in nessun caso potrebbe iniziare da dove ha lasciato e rischia di scontrarsi con un supporto popolare immenso per la Palestina e il continuo boicottaggio contro Israele. In poche parole, Israele ha semplicemente distrutto la sua legittimità ad esistere ed ha reso gli israeliani personae non gratae praticamente dovunque nel mondo, imponendo a se stessi un marchio di infamia dal quale è impossibile liberarsi per almeno una generazione. Che senso avrebbe, dopo la fine della guerra, comunque uno stato di Israele boicottato dovunque nel mondo, i cui abitanti sarebbero trattati come mostri come lo sono adesso e il cui risultato sarebbe una costante debolezza economica e sociale mentre lo stato palestinese riceve fondi illimitati dalle popolazioni di tutto il mondo?
Il supporto costante ed illimitato per Israele da parte degli occidentali lo ha semplicemente reso illegittimo e rende impossibile ricominciare tutto come prima, come se niente fosse successo così come per la Germania nazista è stato necessario essere sconfitta, partizionata e ricreata da zero per essere di nuovo accettata a livello internazionale. E’ persino inutile accusare solo Netanyahu e la sua cricca di esaltati perché Israele ha dimostrato di non avere dentro di sé gli anticorpi che potessero combattere l’emersione di una società genocida.
A rendersene conto prima di tutti sono gli stessi israeliani che per questa ragione supportano, più di prima, le azioni del loro governo ma anche gli ebrei di tutto il mondo. Ad esempio, il professore Haim Bresheeth della SOAS (School of Oriental and African Studies) di Londra, componente della federazione University of London e fondata nel 1916, unico ateneo in Europa ad essere interamente specializzato nello studio di Africa, Asia e Medio Oriente, con un’attenzione unica a lingue, culture e società di queste regioni.
Il professor Breesheet, figlio di un sopravvissuto dell’Olocausto nazista, ci spiega nel video di seguito qual è la situazione attuale di Israele:
“Non ci può essere nessuna soluzione dei due stati. Non vale neanche la pena di discutere di qualsiasi soluzione che tenga in vita il sionismo. Israele ha reso impossibile questa soluzione ma anche se non l’avesse fatto, noi non la appoggeremmo. Ovviamente questa soluzione non è esiste, noi la chiamiamo ‘la delusione dei due stati’. Noi supportiamo un singolo stato democratico, che abbracci tutto il territorio della Palestina [si noti che la chiama Palestina] per tutta la popolazione inclusi i 7 milioni e mezzo di rifugiati [palestinesi].
Questo non è qualcosa di cui si parla a livello generale, sia da parte dei politici che da parte della pubblica opinione e noi vogliamo usare il Congresso [anti-sionista] per diffondere il messaggio che l’unico modo per fermare non solo il genocidio [dei palestinesi] ma il Sionismo stesso – il genocidio non è la malattia, il genocidio è l’effetto collaterale della malattia, la tossina, il Movimento Sionista.”
Il professore Bresheeth spiega bene come sia impossibile ormai pensare alla sopravvivenza dello Stato di Israele nella sua attuale forma. Non è solo una questione di vittoria militare, che ormai è impossibile, ma semplicemente dell’avere trasformato Israele in uno stato genocida che, se anche sopravvivesse, sarebbe marchiato a vita, boicottato e schiacciato alla fine dal sostegno popolare – che diventerebbe legale in caso di riconoscimento – per lo stato palestinese.
Quello che i governi occidentali stanno cercando di salvare è quindi lo Stato di Israele nella sua attuale forma. Non si permettono di bloccare Netanyahu, togliendogli il supporto diretto, ma cercano di fermare una campagna chiaramente fallimentare in modo indiretto, parlando di riconoscimento dello stato palestinese, un passo che se non accompagnato da passi concreti, come ad esempio un intervento militare in Palestina per bloccare l’esercito israeliano, è completamente inutile. Mentre parlano di Palestina, quasi tutti i governi continuano a vendere armi ad Israele, considerano completamente al di sopra della Legge i suoi rappresentanti anche se accusati di crimini di guerra e genocidio e non intendono nemmeno aiutare direttamente i palestinesi ad esempio consentendo loro di difendersi con le armi dallo stato genocida.
E’ quindi uno show di clown che serve principalmente ad esonerare se stessi a posteriori, quando magari arriverà qualche accusa formale, e nel frattempo consigliare a Netanyahu ed i suoi di arrivare a miti consigli per non rendere impossibile impedire lo smantellamento dello stato israeliano sul modello di quello imposto alla Germania nazista.
Attacco disperato a Gaza
L’attacco previsto contro Gaza, che giustamente non piace ai militari, accelererà questo processo ed è un suicidio militare e politico frutto della disperazione. L’esercito israeliano ha già comunicato al governo che non esiste un modo in cui possa controllare 2,5 milioni di palestinesi, non ha sufficienti mezzi e uomini per farlo. Il governo ha diramato per richiamare circa 250mila riservisti e questo, da solo, dà la misura del compito e della difficoltà che si aspetta. Non appena grandi quantità di soldati metteranno piede a Gaza verranno uccisi come mosche dalla Resistenza palestinese.
I decessi per Israele passeranno da decine a settimana a migliaia al mese e questo farà esplodere la protesta e implodere lo stato israeliano sotto la pressione anche della nuova Intifada che si scatenerà in Cisgiordania. Le possibilità che, in modo preventivo, altre forze come Hezbollah e gli yemeniti si uniscano alla battaglia non è da escludere così come sono alte le possibilità che regimi filo-occidentali come quello giordano possano cadere a causa della pressione delle masse arabe e dei rifugiati palestinesi.
I governi occidentali sono consci di questa situazione e, con il de minimis del riconoscimento di facciata della Palestina, tentano in realtà di salvare quello che rimane dello Stato di Israele.
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