Sono piovute critiche dopo l’approvazione della risoluzione dell’ONU che autorizza l’implementazione di alcune parti di quello che viene presentato come il Piano Trump per la Palestina. Trump, da buon chiacchierone qual è, afferma che la Risoluzione del Consiglio di Sicurezza autorizza l’implementazione dei 20 punti del suo piano ma la prima cosa da chiarire è che non è così. La risoluzione ONU autorizza solo una piccola parte di quello che Trump considera il suo piano e non il complesso di quelle proposte.
Nonostante questo ha ricevuto l’ovvio rifiuto da parte dei palestinesi, quelli buoni non i collaborazionisti della Palestinian Authority, e di molti altri osservatori internazionali, con ragione. Le critiche sono giuste e meritate anche se il linguaggio usato nella risoluzione è volutamente vago e generico in molte parti. Non è un caso ma una scelta che deve accontentare Israele per farle accettare una situazione che sembra favorirla ma non è così chiara come si pensa. L’interpretazione di Tel Aviv è la più ampia possibile con Trump che sulla carta e nelle dichiarazioni pubbliche sembra confermare queste versioni e questo tiene buona la Destra israeliana, almeno per adesso, consentendo a Netanyahu di provare a spacciare per grande vittoria una gigantesca sconfitta strategica oltre che militare.
Nella realtà è tutto più sfumato. Ad esempio, la questione del disarmo delle fazioni palestinesi è stata subito accantonata e differita ad un ipotetico “secondo momento”. Se Trump in pubblico minaccia di lasciare che Israele riprenda la guerra se le fazioni non si disarmeranno, in privato questa opzione non è nemmeno considerata per adesso e ad Israele è stata fatta pervenire una ipotetica seconda idea di lasciare alle fazioni le armi leggere e poi eventualmente rimuovere quelle pesanti. Niente di concreto, nessun impegno reale anche perché i palestinesi hanno sempre detto che non cederanno mai le armi se non alle forze di sicurezza di uno stato palestinese indipendente.
La maggior parte dei punti della risoluzione sono così, sufficientemente vaghi da poterli presentare ad Israele in un modo – con l’idea di avere una grande vittoria – ma senza che siano davvero impegnativi. Alcuni sono semplicemente fantasiosi ed è chiaro che non verranno mai implementati in nessuna forma.
I problemi per Israele sono più dei vantaggi
Se si gratta la superficie i problemi per Israele sono molti più dei vantaggi e qualcuno può anche dire che Tel Aviv sia decisamente umiliata da come gli Stati Uniti stanno conducendo i negoziati.
In primis, Israele ne è praticamente esclusa. L’Amministrazione Trump sta trattando direttamente con i palestinesi, informando poi il governo israeliano ma avendolo essenzialmente esautorato dalle trattative.
La stessa risoluzione ONU, presentata come una grande vittoria di Israele e Trump, è una gigantesca sconfitta strategica per Tel Aviv. In primis, Israele rifiuta forze ONU sul suo territorio sin dal 1956, quando Ben Gurion ha affermato che non avrebbe mai accettato forze ONU né in Israele né in nessuno dei territori che occupava. Questa risoluzione, invece, costringe il governo Netanyahu ad accettare una forza di pace internazionale sul suo territorio, di fatto bloccando al governo israeliano l’accesso a parti di quella che considera Israele. E’ un precedente che potrebbe allargarsi presto a tutti i territori che l’ONU riconosce come Palestina e quindi alla Cisgiordania e a Gerusalemme.
In secondo luogo, con l’invio di una forza di interposizione, l’ONU implicitamente riconosce lo stato palestinese. Le forze ONU si installeranno “al confine” ed è più che ovvio che c’è bisogno di una forza di interposizione solo tra due paesi diversi, non certo tra due regioni dello stesso paese e infatti si parla di confini, il che conferma che stiamo ragionando di due paesi diversi.
Netanyahu lo sa ed infatti si è affrettato a strillare che la risoluzione del Consiglio di Sicurezza non riconosce la Palestina, che non c’è niente di scritto in tal senso. Ovviamente mente perché nella risoluzione si parla esplicitamente di un percorso per la creazione di uno stato palestinese a condizione che la Palestianian Authority proceda a determinate riforme. Il linguaggio vago di cui si parlava che consente a tutti di cantare vittoria.
Ma è chiaro a tutti che se l’ONU non avesse riconosciuto lo Stato Palestinese la situazione per Israele sarebbe ancora peggiore perché le Nazioni Unite le avrebbero di fatto tolto il controllo di una parte del suo territorio. E’ come se l’ONU decidesse un giorno di togliere il controllo del Piemonte o della Campania allo Stato Italiano: sarebbe difficile cantare vittoria e non considerarla, implicitamente, una limitazione dell’autorità e di messa sotto tutela.
A questo si aggiunga che la forza internazionale di “stabilizzazione” dovrebbe essere composta in parte o addirittura in toto da soldati di paesi arabi e musulmani. Il riconoscimento dello stato palestinese, la presenza di forze ONU nel paese e persino quella di soldati di altri paesi musulmani sono tutto ciò che Netanyahu ed i suoi hanno giurato non poter avvenire mai.
Sarebbe una vittoria?
Linguaggio vago e l’astensione di Russia e Cina
Del linguaggio vago si è detto ma alcune modifiche sono state necessarie per ottenere non il supporto, si badi, ma semplicemente l’astensione di Russia e Cina. I due paesi potevano porre il veto sulla risoluzione e bloccarla ma non l’hanno fatto. Se qualcuno ha insinuato uno scambio tra Stati Uniti e Russia (Israele per Ucraina) la cosa non si applicherebbe alla Cina che da sola poteva bloccare il piano.
Invece l’astensione ha consentito di andare avanti pur senza fornire supporto all’iniziativa USA. La Russia ha fatto circolare ben due versioni alternative del testo, chiedendo di volta in volta modifiche che ha poi ottenuto, con il sostegno di Pechino. Tra queste, che non ci fosse nessun riferimento ad un protettorato occidentale, che la gestione di Gaza rimasse ai palestinesi e altre modifiche che hanno annacquato il senso pro-Israele dell’interpretazione della risoluzione. Come detto Mosca aveva fatto circolare la sua versione della risoluzione ed ha ceduto solo dopo una dichiarazione congiunta di molti paesi musulmani (inclusa la PA di Abbas) verso il progetto americano.
Dopo aver ottenuto le modifiche richieste, sia Russia che Cina si sono astenute per consentire alla risoluzione di essere approvata, cosa che molti hanno definito un tradimento.
A ben vedere però questi giudizi sono affrettati. Oltre ai problemi per Israele già menzionati, gran parte della risoluzione ONU è inapplicabile senza l’ok di Gaza, che non significa quello della PA, e rappresenta come detto una fantasia. Ottenuta l’indipendenza di Gaza e la necessità di coordinarsi con quest’ultima anche per la ricostruzione e molte altre piccole modifiche, la risoluzione risulta solo un pieno di sogni per Tel Aviv ed anche per Washington. Come detto, poi, l’ONU non ha autorizzato il cosiddetto Piano Trump.
Considerata questa situazione, bloccare una risoluzione che aveva il sostegno di tanti paesi musulmani e persino della Palestinian Authority poteva sfiorare l’imperialismo e avrebbero rischiato di sembrare un sopruso quando molti la appoggiavano. Resa più chiara su alcuni punti chiave, è potuta passare.
Anche se tecnicamente inapplicabile, la risoluzione del Consiglio di Sicurezza ha inoltre un merito e cioè quello di prendere tempo e bloccare l’aggressione israeliana ed, anzi, legittimare l’ingresso massiccio di aiuti.
Per finire, il passaggio della risoluzione ha finito per internazionalizzare la causa palestinese che Israele ha sempre affermato essere un problema interno del paese. Se è vero che molti già lo pensavano e pensano, la novità qui è che gli Stati Uniti hanno accettato per la prima volta questa visione.
Cosa ne pensano gli israeliani
A conferma di quanto detto si possono già rilevare diversi importanti interventi di israeliani che danno visioni meno trionfalistiche di quelle che spaccia il governo Netanyahu.
Aaron David Miller, del think thank Carnegie Endowment e consigliere di diverse amministrazioni democratiche e repubblicane scrive per esempio:
“Che la Risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU possa essere implementata davvero resta da vedere ma Trump ha internazionalizzato la componente di Gaza della causa palestinese e dato l’assenso alla Soluzione dei Due Stati come traguardo finale. Quelli che vogliono annettere la Cisgiordania sono avvertiti”
Eran Etzion, che è stato Vicepresidente del Consiglio di Sicurezza Nazionale del governo Netanyahu ha scritto invece:
“La nuova risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU su Gaza introduce pericolosi precedenti nella storia del conflitto Israelo-Palestinese. Rimuove Gaza dal suo contesto politico e mette il territorio sotto il controllo esclusivo di Trump per due anni. Governerà attraverso un vago istituto, il cosiddetto ‘Direttivo di Pace’, i cui componenti nominerà da solo – e ai quali il Consiglio di Sicurezza ha garantito autorità illimitata su Gaza.
La risoluzione taglia via Gaza ed il suo futuro dal ricco contesto storico, politico e legale del conflitto. Non fa riferimento a nessuna risoluzione ONU o del Consiglio di Sicurezza, né a precedenti accordi tra Israele e Palestina.
Esclude inoltre l’Autorità Palestinese da ogni ruolo a Gaza e aumenta la separazione tra Gaza e la Cisgiordania.
Le affermazioni deboli e riciclate del Piano Trump su un possibile ‘orizzonte politico’ – che fanno riferimento all’auto-determinazione e allo stato palestinese come un vago, possibile e distante futuro – sono solo di facciata. Consentirà a Trump e Netanyahu, alla fine del suo governo, di affermare che i Palestinesi devono prima “diventare Finlandesi” (come diceva Dov Weissglas) prima di soddifare le presunte condizioni.
Gli stati arabi e musulmani coinvolti – Egitto, EAU, Qatar, Arabia Saudita, Turchia, Pakistan, Indonesia e la piccola e indebolita Autorità Palestinese – hanno approvato in modo riluttante il testo, ognuno calcolando quali concessioni poteva ottenere da Trump. Nei prossimi giorni vedremo cosa ci ha guadagnato l’Arabia Saudita e più avanti cosa otterranno gli altri in cambio dell’invio di truppe e denaro a Gaza.
Russia e Cina si sono astenute: sarà interessante capire cosa ha preteso Mosca e cosa abbia ottenuto in cambio dell’astensione.
Con la usuale modalità dell’era Trymp – l’era del cialtronismo e della ‘realtà alternativa’ – la risoluzione dichiara che “le parti hanno accettato il piano Trump in 20 punti”. Questo è semplicemente falso. Né Hamas né il governo Netanyahu hanno accettato quel piano.
Hamas e le fazioni palestinesi hanno annunciato ieri che si opporranno alla risoluzione. I negoziati con Hamas – diretti ancora dagli Stati Uniti, uno sviluppo mai verificatosi prima – ora si intensificheranno nel tentativo di disarmare le organizzazioni.
Che Netanyahu pubblicamente approvi la risoluzione o no, la vede come un successo. Le possibilità che tutto l’insieme crolli e che la guerra continui sono alte – e il peso della responsabilità non sarà a suo carico.
Da una prospettiva strategica per Israele la risoluzione avrebbe dovuto essere più dettagliata e garantire un mandato completo alla forza internazionale, avviare immediatamente una discussione sulla risoluzione del conflitto nel suo contesto regionale e collegare i ruoli chiave di Arabia Saudita, EAU, Egitto e Giordania. Non è successo niente di tutto questo perché questi stati rifiutano di lavorare con Netanyahu e hanno concluso che fino a quando sarà Primo Ministro non ci potranno essere progressi significativi verso la risoluzione del conflitto, la normalizzazione o la pace.
Se Trump non comprenderà questa situazione – e smetterà di fornire a Netanyahu ossigeno politico – il pericolo che il cessate il fuoco crolli e che la guerra ricominci è significativo.
Lo scenario più probabile per i prossimi mesi: Hamas mantiene il controllo di circa la metà della Striscia e aumenta il suo ruolo dominante sui 2,3 milioni di residenti, persino mentre negozia con gli USA, il Qatar, la Turchia e l’Egitto del proprio futuro. In parallelo, avverrannoì tentativi di formare la forza internazionale, definire il suo mandato e dispiegarla. Il ‘Direttivo di Pace’ ed il governo tecnocratico palestinese saranno formati ma la frase ‘”‘reggersi su zampe di gallina’ rimarrà probabilmente la descrizione più accurata di questa situazione fragile e fluida.
Infinine, Nadav Eyal, giornalista di Yediot Ahronot e Ynet:
“Alcuni antisemiti stanno facendo circolare la nota favoletta: che il Presidente Trump abbia dato a Netanyahu ed al governo israeliano ‘tutto ciò che volevano’. Essendo una persona che ha seguito Netanyahu per 20 anni e che ha scritto della guerra dal primo giorno, posso promettervi che la decisione storica del Consiglio di Sicurezza dell’ONU stanotte non può essere più lontana da quello che vuole Netanyahu.
Causa l’internazionalizzazione della Striscia di Gaza. Apre la porta alla possibilità che Israele perda il controllo del territorio mentre Hamas è sempre lì e contiene un impegno a stabilire un percorso verso uno Stato Palestinese – la cui avversione è l’essenza politica di Netanyahu (almeno lui la vede così). Nello stesso giorno, il Presidente [Trump] – nonostante le obiezioni israeliane – ha annunciato l’intenzione di vendere gli F-35 all’Arabia Saudita. Questo è lo stesso presidente che ha chiuso le porte ad un’altra grande promessa della Destra israeliana: l’annessione della Cisgiordania.
Netanyahu non ottiene tutto quello che voleva. Non siamo più lontani dalla realtà perché adesso è davvero nei guai con la sua base di Destra e questo potrebbe essere solo l’inizio.”

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