L’accordo USA con l’Iran favorito dalla sconfitta in Yemen. Gli Stati Uniti devono preservare deterrenza

L’accordo USA con l’Iran favorito dalla sconfitta in Yemen. Gli Stati Uniti devono preservare deterrenza

Nelle ultime 48 ore, oltre 2 mesi dopo l’inizio delle operazioni degli Stati Uniti e del Regno Unito contro lo Yemen, Sana’a ha lanciato almeno 4 missili balistici contro Israele, confermando il fallimento della campagna di attacco della NATO contro il paese arabo. Nel frattempo, il Mar Rosso continua a rimanere chiuso per le navi israeliane e da pochi giorni lo Yemen ha bandito dal transito anche le navi statunitensi che esportano petrolio, come risposta alla selvaggia campagna di bombardamenti indiscriminati contro la popolazione yemenita.

Nonostante il suo presidente continui ad abbaiare forte, l’Amministrazione Trump sembra avere deciso di arrivare ad un accordo con Teheran ed una parte importante di questa decisione è la fallita campagna contro lo Yemen che si è rivelata un gigantesco insuccesso e che rischia seriamente di minare la credibilità della macchina bellica USA già scossa dalla sconfitta in Ucraina. Quella che viene comunemente chiamata “deterrenza”.

Il missile ipersonico balistico che oggi ha colpito l’aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv (video di seguito) provocando un cratere di 25 metri di profondità e superando i più moderni sistemi di protezione USA e israeliani (l’Arrow3 e il Thaad) ha mandato sotto shock Israele. E’ la prima volta che lo Yemen riesce a colpire l’aeroporto di Tel Aviv, dopo esserci andata vicina in alcune occasioni. Ora Israele teme che le compagnie internazionali possano sospendere i voli verso il paese per evitare incidenti, una misura che avrebbe serie ripercussioni sia economiche che militari.

(Nel primo video, l’arrivo del missile sull’aeroporto. Nel secondo, la riunione dei militari israeliani vicino al cratere creato dall’impatto, una analisi ad altissimo livello. Nel terzo, il panico scatenato all’aeroporto considerato fino ad oggi sicuro)

Nonostante le pressioni israeliane e nonostante i colloqui siano stati di recente “sospesi a tempo indeterminato”, è chiaro che l’amministrazione Trump sta procedendo spedita verso un accordo con Teheran. Lo stesso licenziamento di Waltz, accusato da Trump di tenere alle sue spalle riunioni segrete con un paese straniero (Israele, appunto) e falco della guerra contro l’Iran, conferma che Washington non ha alcuna intenzione di combattere una guerra vera contro Teheran.

Questa convinzione si è andata via via rafforzando per diversi motivi ma uno di quelli più importanti è l’insuccesso della campagna contro lo Yemen, un paese visto come un mini-Iran. Solo pochi giorni fa la portaerei Truman ha dovuto ammettere di avere perso in mare un aereo F-18 caduto dal ponte per una manovra di emergenza che la nave da guerra ha dovuto effettuare per sfuggire ad un missile yemenita. La Truman naviga da settimane a centinaia di km dallo Yemen non potendo avvicinarsi da meno 8-900km per paura dei missili yemeniti ed è costantemente sotto attacco insieme con le sue navi di supporto. Viste le difficoltà riscontrate dalla Truman, gli Stati Uniti stanno muovendo nell’area altre due portaerei ma il risultato non sta cambiando e la Truman si appresta a lasciare l’area mentre non è chiaro se sia stata davvero colpita dagli yemeniti. Anche la Carl Vinson, di recente arrivata nel Mare d’Arabia, è stata subito “accolta” con un attacco dallo Yemen.

Pochi si rendono conto di quali armi siano fino ad ora state utilizzate contro lo Yemen, senza successo. Si tratta delle armi più potenti dell’arsenale statunitense:

  • cinque portaerei;
  • aerei B2, F-35 e F-18;
  • droni;
  • tutti i tipi più moderni di missili e bombe;
  • tutti i tipi di intelligence;
  • una campagna mediatica con pochi eguali;
  • una guerra economica totale.

Nonostante questo il risultato ottenuto in Yemen è zero virgola zero e gli yemeniti possono lanciare 4 missili balistici contro Israele, a migliaia di km di distanza, in sole 48 ore. Inoltre, le famose bombe GBU-57 (Massive Ordnance Penetrators o MOP) sono state usate contro i bunker yemeniti con un clamoroso insuccesso. I bombardieri B2 partita dalla base Diego Garcia hanno provato ad usarle per far crollare i bunker armati yemeniti e sono riusciti solo a distruggerne le entrate, ripristinate in poche ore. Questo insuccesso è clamoroso perché si prevedeva che la GBU-57 sarebbero state usate per attaccare le strutture sotterranee iraniane che sono ben più in profondità di quelle yemenite. Se non sono riuscite neanche a scalfire quelle yemenite è chiaro che non sarebbero di nessuna utilità contro l’Iran, una consapevolezza che ha scioccato israeliani ed americani. Le GBU-57 sono bombe prodotte in un numero limitatissimo e il fatto che siano inefficaci persino contro lo Yemen è un disastro. Fonti del CENTCOM hanno di recente affermato che da quello che si vede in Yemen queste armi possono essere definite per lo meno “inefficaci”, se non addirittura “inutili”.

Senza contare i costi enormi di questa guerra fallimentare. Lo Yemen ha già abbattuto 22 droni MQ-9, dal costo di 30 milioni di dollari l’uno causando quindi la perdita di oltre mezzo miliardo di droni. Il generale Fenton si è di recente lamentato al Congresso (video di seguito) del fatto che “i nostri nemici ci attacchino con droni che costano 10mila dollari che noi siamo costretti ad abbattere con missili che ne costano 2 milioni ognuno”

E’ ormai inoltre noto come la Cina, oltre che la Russia, abbiano dato accesso a Sana’a ai loro satelliti militari in modo che i movimenti delle navi USA e le coordinate per colpirle siano facilmente rilevabili.

Le tecnologie impiegate dallo Yemen, che sono solo una piccola parte di quelle possedute dall’Iran, sono già troppo rilevanti per essere ignorate. Di recente il presidente yemenita ha affermato che “in soli 10 giorni i nostri uomini hanno superato i sistemi di difesa elettromagnetica con cui gli Stati Uniti minacciavano Russia e Cina”, confermando di essere in possesso di conoscenze e tecnologie d’avanguardia.

Già un mese fa il New York Times (foto di seguito) avvertiva che la Marina USA stava sprecando preziose munizioni ad alta tecnologia per una campagna militare che non stava ottenendo alcun risultato e che stava però svuotando gli arsenali degli Stati Uniti destinati a contrastare una eventuale invasione cinese di Taiwan. Di fatto, lo Yemen sta smilitarizzando gli USA.

Ancora più clamoroso il fiasco dell’intelligence USA. L’abbattimento di così tanti droni MQ-9 ha portato gli Stati Uniti a non riuscire più ad acquisire informazioni di intelligence sul territorio e di recente questa difficoltà si è palesata con lo scandalo degli obbiettivi presi da Internet. E’ infatti stato rivelato che i militari USA abbiano usato le coordinate fornite da un utente del social network X, un account amatoriale tra quelli che giocano a fare le analisi satellitari (i cosiddetti account OSINT, open-source intelligence), che aveva identificato – sbagliando, come spesso capita – una installazione civile come installazione militare. Incredibilmente, i militari USA hanno usato quelle coordinate per bombardare il luogo uccidendo civili innocenti. (foto e video di seguito) Una circostanza che, se non fossero morti yemeniti innocenti, farebbe ridere i polli della professionalità dei militari USA.

E’ ormai chiaro a tutti che nessuna campagna da lontano può influenzare lo Yemen e da settimane si prepara quindi una campagna di terra reclutando mercenari. La CNN ha più volte dichiarato che il Pentagono è convinto di non poter più sostenere questo tipo di attacchi dalla distanza che, oltre a costare moltissimi soldi, non è riuscito a consentire il passaggio nemmeno di una nave israeliana per il Mar Rosso dopo due mesi di operazioni militari.

In questo senso la NATO ha riattivato il suo “governo internazionalmente riconosciuto”, che controlla la zona desertica dello Yemen e circa il 20% della popolazione e che ha già perso la guerra contro i territori occupati dall’80% della popolazione e controllati dalla coalizione di Ansarallah. Mercenari si stanno riunendo ai confini del territorio controllato da Sana’a ma la loro capacità di lanciare davvero una operazione di terra è tutta in discussione anche perché circa il 20% della popolazione controllata da quel governo ha già deciso di passare dalla parte di Ansarallah.

E’ significativo quindi che il premier di questo fantomatico governo internazionalmente riconosciuto, Ahmed Bin Mubarak, abbia ieri deciso di dimettersi citando tra le altre cose “l’impossibilità di svolgere il proprio compito” (foto di seguito)

di fatto indicando che i preparativi per una nuova guerra di terra in Yemen non siano ben visti nemmeno da quella fazione. Anche perché lo Yemen di Ansarallah oggi non è lo Yemen del 2015 ma una forza notevolmente più potente e sempre determinata, che aveva già sconfitto allora nemici armati delle migliori armi occidentali.

Se quindi Israele non può fare a meno di cercare lo scontro con Teheran, perché se il paese uscisse dallo stato di guerra che lo tiene insieme crollerebbe dopo poche settimane, gli Stati Uniti non sono affatto convinti. Anche la retorica trumpiana è cambiata e se il presidente qualche settimana fa affermava che “gli Stati Uniti non saranno trascinati da Israele in una guerra contro l’Iran perché se non ci sarà accordo gli USA guideranno l’attacco”, qualche giorno fa ha cambiato narrativa dichiarando che “se non ci sarà accordo ci sarà sicuramente una operazione militare e probabilmente Israele la guiderà”, di fatto riducendo eventualmente il ruolo USA a mero supporto. E anche quello sarebbe in dubbio perché l’Iran ha già confermato che qualsiasi paese che desse supporto ad Israele in una attacco, anche rifornendo gli aerei, sarebbe oggetto di rappresaglia da parte di Teheran.

Se è vero quindi che Washington ha tentato di inserire nei negoziati all’ultimo momento, su pressione israeliana, condizioni inaccettabili per l’Iran e questo abbia provocato l’interruzione dei negoziati stessi, le possibilità di un attacco USA contro il paese sono molto basse e forse addirittura nulle e questo anche perché è chiaro a tutti che i militari statunitensi sono contrari a questa eventualità e l’hanno fatto sapere chiaramente anche attraverso Tulsi Gabbard.

Il completo caos in cui versa l’amministrazione USA su questo argomento è sintomatico della delicatezza della situazione in cui chiaramente l’Amministrazione Trump è contraria a qualsiasi attacco ma è sotto pressione massima da parte di Israele. Il licenziamento di Waltz è probabilmente un messaggio a Tel Aviv.

Tutto però nasce da un calcolo interno: se l’attacco all’Iran fallisse gli Stati Uniti avrebbero perso – dopo il fiasco della guerra in Ucraina – l’ultimo briciolo di deterrenza rimasto. Non è importante che Israele l’abbia ormai perso con le disastrose campagne a Gaza ed in Libano ma se gli USA perdessero la loro di deterrenza, gli eventi a livello mondiale accelererebbero fino ad andare fuori controllo per le oligarchie occidentali.

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