I palestinesi rifiutano una tregua di due mesi e lo scambio alcuni prigionieri: li vogliono tutti. In particolare tre.

I palestinesi rifiutano una tregua di due mesi e lo scambio alcuni prigionieri: li vogliono tutti. In particolare tre.

Quando Israele ha iniziato la sua campagna a Gaza il suo obiettivo principale era essere brutale e favorire una rapida rimozione del governo della Striscia. Essere il più brutale possibile era quello che la NATO voleva fare per stabilire la famosa deterrenza, provando ai suoi avversari – nonostante la sconfitta in Ucraina – che poteva ancora essere non solo pericolosa ma brutale, fare e uccidere chi volesse senza che nessuno potesse pensare di fermarla militarmente.

Israele invece voleva causare sufficiente distruzione da costringere la popolazione civile ad arrendersi, rimuovere Hamas e le altre fazioni ed accettare una soluzione politica di facciata che in effetti era una resa. L’idea era restituire Gaza all’Autorità Palestinese, un organismo ormai di facciata che viene visto da tutti i palestinesi come un elemento collaborazionista, non diversamente com’erano i governi filo-nazisti dell’Europa dell’Est durante la Seconda Guerra Mondiale.

Mentre Israele si adoperava per preparare l’assegnazione di Gaza alla PA è diventato subito chiaro sia che l’operazione militare sarebbe fallita, sia che Abbas e la sua cricca non godono di alcuna fiducia tra i palestinesi e che non avrebbero mai potuto gestire Gaza quando a stento – e con tanti soldi – riescono a tenere sotto controllo la Cisgiordania. Del resto, sono gli israeliani a dire che non si possono tenere elezioni né a Gaza né in Palestina o vincerebbe Hamas.

Gli Stati Uniti e l’Europa hanno quindi iniziato a far circolare un nome e l’idea che la sua liberazione potesse risultare abbastanza gradita ai palestinesi da imporlo come nuovo leader e dargli il controllo non solo di Gaza ma anche della Cisgiordania, licenziando “il vecchio” Abbas. I media europei ne parlavano come di un “uomo colto”, un “pensatore”, preparando il terreno per l’ennesimo “cambio di regime”, come amano chiamare i colpi di stato che sponsorizzano.

Figurarsi la sorpresa quando quel nome è stato fatto dai palestinesi di Gaza. Anzi, quando la sua liberazione è diventata una delle condizioni della tregua che Israele voleva assicurarsi. Panico generale. Di colpo, è risultato subito chiaro perché Gaza poneva come condizione la liberazione di tutti, nessuno escluso, i detenuti nelle carceri israeliane: mentre Israele pensava di preparare la successione di Abbas, i palestinesi di Gaza lavoravano all’unificazione del fronte di liberazione della Palestina e, con esso, l’unificazione della lotta palestinese da estendersi alla Cisgiordania ed oltre.

I tre uomini che Gaza pretende siano liberati, insieme con tutti gli altri, sono i tre leader storici delle fazioni politiche palestinesi, Fatah, Hamas e il Fronte Popolare di Liberazione della Palestina. L’obiettivo è quello di esautorare Abbas e ricostituire l’unità delle fazioni politiche palestinesi, un cambiamento radicale. Israele considera questi tre uomini molto pericolosi e da anni li ha arrestati ed condannati a vita.

Il primo è Ahmed Saadat, segretario generale del Fronte Popolare di Liberazione della Palestina (PFLP o FPLP). Arrestato nel 2008, è stato condannato a 30 anni di carcere.

Il secondo è Abdullah Barghouti, uno dei leader storici di Hamas, condannato a diversi ergastoli ed attualmente nelle prigioni israeliane.

Il terzo è Marwan Barghouti, componente del Comitato Centrale di Fatah e del Comitato Legislativo Palestinese (PLC). Attualmente sta scontando 5 ergastoli nelle carceri israeliane ed era lui “il pensatore” che gli occidentali volevano far liberare. Tutti e tre sono in Cisgiordania e il loro rilascio distruggerebbe completamente l’Autorità Palestinese del collaborazionista Abbas.

L’arresto e la detenzione di Saadat sono indicativi del coordinamento tra l’Autorità Palestinese e Israele durante un momento critico della Seconda Intifada. L’arresto ed il processo a Barghouti sono indicativi invece della volontà della PA di eliminare le figure pubbliche molto popolari e farne un esempio.

Mentre era in prigione Barghouti ha fondato un nuovo partito, al-Mustaqbal (Il Futuro), insieme con i leader di Hamas, del Fronte Popolare di Liberazione della Palestina, della Jihad Islamica (IJ) e con il Fronte Democratico di Liberazione della Palestina (DFLP). Insieme hanno scritto il Documento di Riconciliazione Nazionale, conosciuto anche come “Il documento dei prigionieri”, che chiede la riforma e l’espansione dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP o PLO), la riorganizzazione degli apparati di sicurezza e la formazione di un fronte militare comune per combattere l’occupazione israeliana. Che è esattamente quello che si vede oggi a Gaza.

Il documento, che chiede anche la formazione di un governo palestinese di coalizione, è stato la base di qualsiasi seguente tentativo di riconciliazione nazionale tra i palestinesi. Barghouti è considerato oggi come il personaggio politico più influente in Palestina, tra tutti i partiti. Ecco perché l’Occidente e Israele gli avevano proposto di diventare il nuovo Abbas, con soldi, annessi e connessi, sperando che accettasse una qualche forma di collaborazione.

Quando i palestinesi di Gaza hanno posto come condizione la liberazione di tutti i palestinesi detenuti, condizione che vige ancora oggi e che quindi include queste tre personalità, è stato chiaro a tutti che i palestinesi marciavano compatti contro l’occupazione e verso la resistenza armata contro Israele che ha metodicamente arrestato o ucciso chiunque proponesse fronti comuni.

Questo ha letteralmente tolto da sotto i piedi di Netanyahu e dei suoi scagnozzi qualsiasi alternativa alla vittoria militare perché era chiaro che i palestinesi erano tutti d’accordo nel formare un fronte comune, che già praticavano con la resistenza armata a Gaza. Questa posizione è stata la condanna di Israele che ha dovuto quindi proseguire la sua fallimentare azione militare ed ha capito che nessun accordo con i palestinesi era possibile. Che, per Tel Aviv, è una vera tragedia. Sia militare che politica. Mantenendo questa posizione oggi i palestinesi mettono a rischio l’esistenza stessa di Israele.

Di seguito riportiamo una intervista dal carcere proprio di Marwan Barghouti:

Interview with Marwan Barghouti: Life and Politics in Prison, National Unity, and the Resistance | Institute for Palestine Studies
www.palestine-studies.org

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